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D’Alema non è degno di rappresentare l’Italia nella Commissione Ue: è un percettore di finanziamenti illeciti

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Nel 1994, il signor Massimo D’Alema, come abbiamo già avuto modo di raccontare, fu trascinato in tribunale dal pubblico ministero Alberto Maritati con un’accusa ben precisa: aver percepito, nel 1985, un finanziamento illecito, per il Pci pugliese di cui era segretario regionale, del valore di 20 milioni di lire, dal patron delle Cliniche Riunite di Bari, Francesco Cavallari. Il quale, dinanzi al Pm, in proposito ebbe a dichiarare:

«Non nascondo che ho dato un contributo di 20 milioni al partito. D’Alema è venuto a cena a casa mia, e alla fine della cena io spontaneamente mi permisi di dire, poiché eravamo alla campagna elettorale 1985, che volevo dare un contributo al Pci. Quella sera, con D’Alema, eravamo presenti in tre: io, il mio cuoco Sabino Costanzo, e il nostro amministratore Antonio Ricco che era in grande rapporto d’amicizia con lui».

Nel giugno del 1995, causa decorrenza dei termini di prescrizione, e su richiesta dello stesso pubblico ministero, quel processo ebbe a chiudersi con un’archiviazione. Che fu disposta dal Gip, Concetta Russi, con queste parole:

«Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti, e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema, all’epoca dei fatti segretario regionale del Pci. Con riferimento all’episodio riguardante l’illecito finanziamento al Pci, l’onorevole D’Alema non ha escluso che la somma versata dal Cavallari fosse stata proprio dell’importo da quest’ultimo indicato».

Quindi, D’Alema, in un’aula di tribunale, ha confessato d’aver percepito un finanziamento illecito per il Partito comunista italiano; ed è riuscito ad evitarsi il gabbio solo grazie alla prescrizione.

Ma non finisce qui.

Trascurando il fatto che, dopo questa vicenda, chissà perché, Baffino abbia candidato il Pm Maritati alle elezioni suppletive del Senato nel giugno del 1999, offrendogli, poi, anche l’incarico di sottosegretario al Ministero degli Interni nel proprio Gabinetto; e trascurando altresì il dettaglio che Maritati non solo abbia accettato l’offerta, ma che ne abbia goduto fino a ieri l’altro, visto che è stato senatore della Repubblica (in quota Pd, naturalmente) fino al febbraio del 2013 (per ben 14 anni, beato lui!), va aggiunta un’altra cosetta.

Nell’agosto del 2009, al settimanale Panorama, il corruttore di D’Alema, Francesco Cavallari, ebbe a dichiarare:

«Io consegnai personalmente a D’Alema 20 milioni in contanti in una busta bianca durante una cena a casa mia. Ma non finì lì. In altre due occasioni gli diedi due finanziamenti illeciti da 15 milioni che gli portai al consiglio regionale. Successivamente gli feci avere altre due tranche sempre da 15: in tutto 80 milioni di lire».

Ma nell’inchiesta si è sempre parlato solo di 20 milioni (sottolinea il giornalista).

«Nell’agenda inizialmente annotai il nome “D’Alema“ poi, vista la cresciuta confidenza, lo indicai coma “Massimo”. Maritati non mi ha creduto».

Per queste dichiarazioni, Cavallari non è mai stato smentito o querelato da D’Alema (né da Maritati).

Il punto, allora, è questo.

Da settimane, si parla con insistenza della possibilità che il succitato percettore reo confesso di finanziamenti illeciti per il Pci pugliese possa diventare, su richiesta del governo italiano, Commissario europeo: «avrebbe già un accordo con Renzi per una nomina a commissario europeo al posto di Antonio Tajani, attuale commissario per l’Industria e vicepresidente della Commissione».

Sarebbe una cosa indiscutibilmente vergognosa: chi ha violato leggi della Repubblica, ed intascato per di più mazzette per un partito, non dovrebbe fare altro che passeggiare ai giardinetti (o stare in galera).

La cosa più scandalosa, però, è che Renzi non abbia ancora smentito queste voci.

Un’ulteriore conferma del fatto che la questione morale, evidentemente, gli è del tutto indifferente.




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